50 sfumature di… ROSA!
Decine di sfumature, una posizione di indubbia rilevanza nella storia della moda, dell’arte e del costume, nonché innumerevoli valori di stampo sociologico: tutto questo è il rosa.
Un colore eclettico, composito, contraddittorio e controverso, a partire dalla sua stessa natura: è infatti extra-spettrale, ciò significa che non fa direttamente parte dello spettro elettromagnetico ma che risulta solo dalla combinazione di altri colori. Se ciò non bastasse a definirne la peculiarità, il termine stesso che indica il nome del colore entra nel dizionario relativamente tardi, solo alla fine del XVII secolo, sebbene sia stato identificato come uno dei primi colori apparsi sul pianeta, stando alle ricerche scientifiche che datano a 1,1, bilioni di anni fa i primi cianobatteri esistenti di colore rosa.
Data la sua multiformità, nel corso dei secoli si è reso duttile ai più variegati impieghi, rivelando di volta in volta sfaccettature e valenze sempre nuove.
Attraverso i secoli: la progressiva imposizione del rosa
Già a partire dal XIII secolo compare, sebbene in misure contenute, nelle opere a tempera dei grandi maestri medievali, tra cui Duccio e Cimabue, che utilizzano una tonalità rosa chiara per i panneggi che avvolgono il Bambino, in accordo con la simbologia cromatica che vede il rosa associato al corpo di Cristo. Il colore conquista di diritto una posizione nella palette degli artisti solo nel corso del Rinascimento, quando diventa argomento della trattatistica d’arte – Cennino Cennini definisce il rosa come una combinazione di Rosso Veneziano e Bianco San Genovese – e quando viene impiegato in modo sempre più sistematico per rendere il colore dell’incarnato nelle mani e nei volti dei soggetti. Non mancano anche in questo periodo le valenze allegoriche, basti pensare alla Madonna dei garofani di Raffaello, che rappresenta il Bimbo mentre regala alla Vergine un fiore di colore rosa, che simboleggia in modo inequivocabile l’unione tra madre e figlio.
Duccio di Buoninsegna, “Madonna con Bambino”, ca. 1280, tempera su tavola.
Raffaello Sanzio, “Madonna dei garofani”, 1507, olio su tavola.
Tra Seicento e Settecento, nel corso dell’evoluzione della poetica Barocca nel Roccocò, la tonalità vede progressivamente accrescere la sua popolarità e diffusione all’interno del contesto artistico e non solo: ben presto approda anche nell’ambito del design e della moda. Madame de Pompadour, consorte del sovrano francese Luigi XV, rende infatti il rosa il colore di punta della corte di Versailles, sia per quanto riguarda l’abbigliamento, sia per quanto riguarda i pregiati suppellettili che adornano il palazzo. In ambito artistico, ancora una volta la tinta assume significati simbolici, a tratti anche contrastanti: se nei ritratti di George Romney viene adoperato per rinviare alla dimensione della seduzione ammiccante, in quelli di Thomas Lawrence si riferisce invece alla dimensione di innocua tenerezza infantile. O ancora, sono emblematiche le tele di Jean Honoré Fragonard, risalenti all’ultimo quarto del Settecento e fortemente contraddistinte da cromie rosacee, negli abiti femminili, quanto negli ammalianti paesaggi.
George Romney, “Emma come una Baccante”, 1782-4, olio su tela.
Thomas Lawrence, “Ritratto di Sarah Moulton, nota come ‘Pinkie'”, 1794, olio su tela.
L’Ottocento e la valenza di gender color
Lo sviluppo, nel corso dell’Ottocento, dei movimenti impressionisti e post-impressionisti, uniti all’influenza orientale sull’estetica europea, determina la definitiva consacrazione del rosa come colore-cardine delle composizioni, basate sulla combinazione di cromie verdi, rosa e blu per rendere gli effetti delle condizioni atmosferiche sulla natura e sul paesaggio. I fiori di Claude Monet, le ballerine di Edgar Degas e i tramonti di Théo van Rysselberghe sono resi attraverso lievi tonalità rosee pastello. Allo stesso tempo, si cominciano a imporre alcune finora inedite valenze dal punto di vista della distinzione di genere: da colore tendenzialmente asessuato, utilizzato al limite per distinguere l’età infantile da quella adulta, questo diviene sempre più insistentemente associato al genere femminile. Uno dei primi riferimenti in quest’ottica compare all’interno del romanzo Piccole Donne, di Louisa May Alcott, dove viene descritta, quale espediente per distinguere due neonati, la tecnica di contrassegnarli con due fiocchi, rosa per la femmina e blu per il maschio.
Edgar Degas, “Ballerine in rosa”, 1880-5, olio su tela, 32 x 46 cm.
Claude Monet, “Primavera”, 1872, olio su tela, 50 x 65.5 cm.
Novecento: dalla società di consumo all’arte
Il XX secolo registra una forte incostanza per quanto riguarda la fortuna del colore rosa. L’ambito delle avanguardie storiche, come il Surrealismo, il Dadaismo e l’Espressionismo, decisamente dominato da forti personalità maschili, non lascia spazio allo sviluppo di tinte delicate e ormai percepite come femminee. Vale l’eccezione del periodo rosa di Picasso, risalente ai primissimi anni del secolo, durante i quali l’artista spagnolo realizza opere caratterizzate da orientamenti cromatici caldi e accoglienti. Contemporaneamente, tuttavia, queste diventano essenziali nell’ambito della moda, quando Elsa Schiaparelli, una fashion designer che non disprezza contaminazioni con il movimento surrealista, nel 1931 disegna una linea basata sullo shocking pink, un rivoluzionario colore ottenuto dall’unione di magenta e di una piccola quantità di bianco. Sempre più si conferma l’idea del rosa associato al genere femminile, non solo per quanto riguarda l’abbigliamento – decisive sono le popolarissime icone di stile che conquistano l’immaginario collettivo, come Jacqueline Kennedy, Mamie Eisenhower, Marylin Monroe – ma anche per gli elettrodomestici, i beni di consumo e i giocattoli per bambine, come testimonia il successo dell’apoteosi del rosa che contraddistingue l’universo Barbie, messa sul mercato nel 1959.
Marilyn Monroe nel film “Gli uomini preferiscono le bionde” (1953).
Se le tonalità rosacee sono maggiormente riconducibili all’ambiente domestico, gli uomini prediligono un abbigliamento basato su colori scuri, giudicati più consoni all’ambiente serio e professionale degli affari. Nonostante l’impegno del movimento femminista durante gli anni settanta per debellare una tale e diretta attribuzione, questa si imporrà sempre maggiormente nel corso degli ultimi decenni del secolo, risultando ancora difficilmente elusibile all’inizio del nuovo millennio. In ambito artistico, il rosa recupera una posizione di preminenza con l’avvento della Pop Art, basata proprio sul recupero dell’iconografia della società di consumo elevata a linguaggio artistico. Anche lo sviluppo di innovative tecniche di tintura che sbiadiscono meno facilmente incoraggia lo sviluppo di nuove tonalità di rosa, tra cui il fucsia. Dalle serigrafie alle opere di street art, dalle composizioni astratte alle visioni urbane, oggi non è quindi inusuale imbattersi in ampie distese o colate di rosa, spesso accesissimo, audace, destabilizzante.
Andy Warhol, “Marilyn Monroe”, serigrafia a colori su carta, 91 x 91 cm.
Il rosa oggi
A partire dagli anni Dieci, il colore riacquista un valore neutrale, che prescinde dalle distinzioni di genere imposte più dal mercato che dal gusto, anche grazie all’impiego di numerosi artisti: celebri sono le fotografie quasi monocromatiche di JeongMee Yoon, che ritraggono una bambina dentro una stanza colma di oggetti rosa, o quelle di Signe Pierce, contraddistinte da una forte saturazione rosacea. Il panorama contemporaneo di muove quindi nella direzione di un uso sempre più emancipato del colore rosa, che compare infatti, con e senza valenze simboliche, nelle produzioni di diversi artisti, siano esse astratte o figurative, basti pensare alle composizioni di Fang Xin Cheng, Mark Rothko, Corneille, Felice Filippini.
Fang-Xing Chen, “Visage pastel”, olio su tela, 100 x 100 cm.
Felice Filippini, “Quattro persone al bar”, acrilico su truciolato, 80 x 60 cm.
Immagine di copertina: Waner, Caron 3 (2015), acrilico su tela, 40 x 40 cm.